Cantiere Idina Who

Il collettivo interdisciplinare Cantiere Idina Who nasce a Milano nell’estate 2020 dalla volontà di collaborazione tra giovani artisti di varia formazione e provenienza geografica, con il fine di dare vita ad uno spazio di libera creazione e contaminazione artistica. Il Cantiere decostruisce e ricostruisce i linguaggi, facendo uso di molteplici modalità espressive (che includono la performance, il teatro, la danza, l’arte visiva) e ponendosi come obiettivo la messa a fuoco di questioni di rilevanza sociale.

CIW è formato da sei membri: un coreografo danzatore (Pablo Ezequiel Rizzo), una danzatrice (Elisabetta Da Rold), due artisti visivi (Manuel Ghidini e Kateryna Kovalchuk), un’attrice (Ilaria Zanotti) e una regista (Margherita Scalise).

RABEXPRESS

RAB express affronta attraverso uno sguardo poliedrico gli effetti che i meccanismi del sistema lavorativo capitalista hanno sulla psiche e sul corpo del singolo individuo, alla luce della quarta rivoluzione industriale. Cosa avviene quando si è sotto l’influenza diretta di uno schermo, di un occhio meccanico, delle indicazioni di un programma, di un algoritmo informatico? Il contesto è un mondo governato da una distopica azienda hi-tech e il protagonista è il RAB, un dipendente 4.0 alle prese con una vita digitalizzata e orientata alla flessibilità e al multitasking. Al lavoratore è richiesta la massima efficacia e velocità esecutiva. Corpo e lavoro sono un’unità indistinta, l’errore non è ammesso, pena l’espulsione dal sistema. Facendo luce su aspetti quali la spersonalizzazione del lavoratore, l’ergonomia organizzativa, il monitoraggio comportamentale, la competizione spietata tra dipendenti, lo spettacolo riflette intorno al tema dell’alienazione prodotta dal contesto aziendale ed industriale.

Credits

Prodotto da Hangartfest (Pesaro) e sostenuto da Aiep (Milano) e SpazioCreativo C3 (Verona)

SUGAR ME

Lo spettacolo intende affrontare il complesso tema della superficie. Di come le cose sembrano e si presentano esteriormente. Racconta l’esistenza di una doppia natura delle cose e la presenza di una sostanza nascosta diversa da quella che si manifesta.
Il colore rosa assume in questa ricerca la valenza di filtro: gioco prospettico e lente dello spettacolo sulle cose del mondo. É la maschera, il velo di apparenza, è il colore del leviatano contemporaneo, entità mostruosa che, a differenza del leviatano di Hobbes, ha assunto oggi un aspetto carino e coccoloso, tenero e innocuo. Permea ovunque, invisibile e inquantificabile, muta forma in base al contesto e ne assume le sembianze. Assorbe la negazione.
L’aspetto più interessante è che chi lo compone è l’insieme delle individualità, la società quindi è la fautrice del leviatano rosa.

Il COLORE ROSA viene spesso utilizzato per raccontare la dolcezza, l’infanzia, l’intimità, e viene inoltre associato alla femminilità. Ma l’innocenza e la purezza che rappresenta sono l’illusione che ci predispone alla manipolazione e alla seduzione, rendendoci di fatto vulnerabili.
Il rosa è la doppia faccia che strizza l’occhio al nostro desiderio di affidarci.
Mentre si rimane in superficie rispetto a una serie di valori, nel profondo permangono quelle strutture che in realtà tengono in vita ed alimentano un totalitarismo.

“La dittatura perfetta avrà sembianza di democrazia. Una prigione senza muri nella quale i prigionieri non sogneranno di fuggire. Un sistema di schiavitù dove, grazie al consumo e al divertimento, gli schiavi ameranno la loro schiavitù.” (Il mondo nuovo, Aldous Huxley)

Credits

regia Margherita Scalise
coreografia Elisabetta Da Rold e Pablo Ezequiel Rizzo
drammaturgia Ilaria Zanotti

scenografia Manuel Ghidini e Kateryna Kovalchuk
interpreti Elisabetta Da Rold, Pablo Ezequiel Rizzo, Ilaria Zanotti
coproduzione Hangartfest e Ariella Vidach AiEP

E Dio cado (titolo provvisorio)

«È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo.» (da Realismo Capitalista di Mark Fisher)

Come ci poniamo di fronte ad una fine imminente del mondo?

Tra crisi climatica, pandemie, guerre nucleari e divari sociali il pronostico è catastrofico, le molteplici soluzioni sembrano prive di una forza rivoluzionaria e nel nostro vivere perpetua un’idea: qualcosa di nuovo deve succedere, ma nulla di nuovo può succedere.

In risposta a questa ineluttabile verità, la risposta dell’essere umano oscilla tra cinismo, rassegnazione e rabbia, caratteristiche che alimentano una posizione sempre più solitaria, distaccata e priva di speranza.
Tutto comincia con questa profezia, il mondo sta per finire, e la figura che se ne fa portatrice apre al pubblico le danze, metaforiche e non, di un rito collettivo che sembra voler dire addio al vecchio mondo.