Barbara Berti

Barbara Berti è danzatrice e coreografa. Nasce a Bologna e lavora tra l’Italia e Berlino. Dopo una formazione come graphic designer, si è avvicinata alle arti performative collaborando con performer e danzatori come Judith Seng, Tino Sehgal, Gabi Schilling e Isabelle Schad. Contestualmente ha sviluppato una propria dimensione autoriale nella danza contemporanea, elaborata in un personale linguaggio coreografico grazie al contributo di discipline ibride quali instant composition, body-mind centering, meditazione e contact improvisation. Nel 2014 vince il premio giuria del festival 100° Berlin HAU2 con I am a shape, in a shape, doing a shape, selezionato nella versione italiana alla Vetrina – GD’A 2016 e per il Premio GD’A – Giovane Danza d’Autore dell’Emilia-Romagna 2017. Nel 2017 vince in ex-aequo Premio scenario con BAU#2 – Dalla serie Coreografia del pensare. Dal 2016 è un’artista sostenuta da TIR Danza.

BAU#1

co/produzione

La serie BAU – Coreografia del pensare si basa su una ricerca, iniziata nel 2013 che indaga con la parte più istintiva dell’uomo, il suo subconscio, ma anche la percezione cosciente della realtà. Tale ricerca ha dato vita a un metodo di lavoro applicato alla danza e alle arti performative, centrato sull’esplorazione delle connessioni invisibili tra corpo e mente, attivate in tempo reale dal performer e dagli spettatori in una sorta di interazione dialogica tra i rispettivi spazi interiori. Una pratica trasformatasi nel tempo in una precisa cifra stilistica, che pone al centro dell’indagine il pubblico come necessaria e imprescindibile polarità dell’atto performativo. La domanda, per certi versi laicamente mistica, è: “Cosa significa essere contemporaneamente nella materia e nella non-materia? È possibile trovare un modo e uno spazio per percepire l’unità tra queste due condizioni?”.

BAU#1 parte dall’attenzione sui processi creati “dall’azione del pensare” e le intenzioni che tali processi possono produrre. Per esempio, come possiamo riconoscere in un ambiente il mutare di un’energia, intesa come cambio di attenzione e di presenza del performer e del pubblico?

Partendo da alcune pratiche legate alla meditazione, BAU #1 esplora in termini coreografici il “disembodiment”, nel creare, cercare e riconoscere il momento della separazione e distacco tra l’azione del pensare e il pensiero stesso. Per tentare di mettere a fuoco quella condizione indefinibile di presenza-in-assenza, tra mente e corpo, si esplorano terreni della non-umanità e dell’a-verbale passando attraverso il movimento e la parola. Questa creazione mira alla costruzione, all’esperienza e all’analisi di una meditazione guidata, come processo interiore in dialogo e in relazione col pubblico.

Credits

Di e con Barbara Berti

Consulenza drammaturgica Carlotta Scioldo

Assistente alla coreografia Liselotte Singer

Assistenza luci Thomas Cicognani

Produzione TIR Danza / MIC Ministero della Cultura

Con il supporto di Ariella Vidach AiEP

In collaborazione con Ariella Vidach AiEP NAOcrea Residenze, H(abita)T – Rete di spazi per la danza, Ballhaus Ost (Berlino) e Santarcangelo Festival

BAU#2

co/produzione

BAU#2 prosegue la ricerca della serie BAU, studiando più in profondità e in termini performativi i processi che intercorrono tra pensiero e percezione quando accadono in uno spazio condiviso; e come questi possono tramutarsi in una esposizione fisica, sia in chi li agisce sia in chi li osserva. In particolare, BAU#2 vuole essere il terreno di verifica di uno stato mentale che permetta al corpo di muoversi in una specifica frequenza, al confine fra razionalità e inconscio, trovando il ritmo e la condizione che consenta al performer di attivare e incorporare un possibile equilibrio tra pensiero e percezione. Il processo creativo si basa sullo sviluppo di pratiche che tendono a espandere la “Coscienza del corpo” e la “Coscienza della mente”, muovendosi dal rituale al performativo. Tali pratiche – “Meditazione del pensare”, “Meditazione del corpo”, “Meditazione della voce” – generano specifici stati che creano una presenza performativa e uno specifico linguaggio coreografico. Contemporaneamente il processo si alimenta delle connessioni con alcune teorie sui processi mentali e fisici trattati in bioenergetica (Lowen). Tale creazione prende forma e si modifica nell’incontro con il pubblico. Gli elementi parola, voce, corpo e luci creano un vero e proprio codice coreografico finalizzato a una creazione tra il visibile e l’invisibile, il materiale e l’immateriale. BAU#2, in definitiva, è un movimento rituale.

Credits

Di e con Barbara Berti

Drammaturgia Carlotta Scioldo

Assistente alla coreografia Liselotte Singer

Assistente luci Liselotte Singer, Thomas Cicognani

The situation. DOGOD
(primo studio)

co/produzione

Con The Situation. DOGOD (primo studio) Barbara Berti, insieme a Marco Mazzoni e Kareth Schaffer, ribalta la prospettiva della rappresentazione nello spettacolo, inaugurando il processo di creazione con un’audizione per cani. The Situation mette assieme l’animale umano e l’animale non umano. La performance si snoda in un ambiente safe, nella dimensione relazionale, come contemplazione collettiva di un universo che pone al centro il tempo animale. Il reame del gioco, del play, del fight inducono i presenti a navigare flussi coreografici, istantanei e interattivi, con i performer a mappare e sostenere lo spazio attraverso intimi atti di presenza; o con il posizionamento di oggetti che caricano la performance di una sostanza al confine tra animato e inanimato, decostruendo continuamente la “situazione”. Se Donna Haraway richiede un ripensamento delle relazioni interspecie, ovvero di “essere capaci di unirsi a un altro, per vedere insieme senza pretendere di essere un altro”, The Situation assume come statuto l’imprevedibile, quella soglia insicura in cui la continua distruzione e costruzione di un luogo è relazionale e empatica. La fisicità è un radar, un linguaggio per comunicare spazialmente, espressione di un territorio, e non di identità.

Credits

Concept Barbara Berti

Performer e collaborazione progettuale Marco Mazzoni, Kareth Schaffer, Barbara Berti

Para-oggetti Marco Mazzoni

Produzione Ariella Vidach AiEP

https://vimeo.com/496067656

GOLDEN DREAM

co/produzione

Golden Dream è un’indagine sul concetto di limitazione.

La performance porta a livello cosciente i limiti fisici e mentali che ci attraversano, a causa di restrizioni esterne o interne, comprese le strutture e le regole sociali e morali che abbiamo incorporato. Come afferma il filosofo coreano Byung-Chul Han, “il limite nella società occidentale è spesso il risultato normativo e psicologico dell’incapacità di accogliere l’Altro”.

Nella performance, esploriamo uno stato di presenza che possiamo sperimentare nel passaggio tra la veglia e il sonno. Lo esploriamo insieme al pubblico in una comunicazione somatica verbale e non verbale.

Credits

Concetto, coreografia, testi Barbara Berti

Performer Kareth Schaffer, Barbara Berti

Suono Klaus Janek

Luci Barbara Berti

Produzione Ariella Vidach AiEP

in coproduzione con TIRDanza, Tanzfabrik, Flutgraben, Ackestadt Palast

ZoA – Zone of Acceptance

co/produzione

Zone of Acceptance (ZoA) è la danza di animali, piante, umani e non umani. ZoA è un’interdipendenza biologica che offre al pubblico prospettive inaspettate. ZoA è un incontro con l’altro e una nuova unione. È un luogo in cui la percezione dello spazio apre un’esperienza sensoriale interconnessa.

ZoA chiede: cos’è questo modello più ampio che collega universale ed estetico? (Bateson 1979). Bateson sistematizza una sintesi cibernetica di mente e natura attraverso l’unità di base della differenza. Ciò che rende possibile la vita evolutiva e il nostro significato è la demarcazione e l’identificazione delle differenze. Il modello più ampio che collega è l’idea vincolante. In questa prospettiva Bateson ha identificato il più grande fallimento umano nel pensare la disgiunzione tra i nostri modi di pensare accettati e l’approccio dei sistemi ecologici della “mente” in natura, vividamente evidenziato dalla continuazione delle diffuse pratiche economiche ecologicamente disastrose dell’umanità. Il modello più ampio che collega è nella mente e nella natura: all’interno della creatura e del pleroma – individui, gruppi, società e universo. Con l’aiuto di piante e cani, Zone of Acceptance incarna ed esegue la visione ecologica di Bateson.

Credits

Idea e coreografia Barbara Berti

Performer Paolo Rosini, Claudia Tomasi, Barbara Berti

Sound design Simon Rose

Executive Producer Iaci Lomonaco

Ufficio stampa Anita Gross

Co-produzione Ariella Vidach AiEP

con il sostegno di MIC, Comune di Milano – Cultura

con il sostegno di National Performance Network – Stepping Out

in collaborazione con Dialoghi-Residenze artistiche a Villa Manin 2021